E’ un terremoto politico. Il rebus del governo
E’ un vero terremoto politico quello che in queste ore sta emergendo dalle urne. La destra berlusconiana, innanzitutto, data (anche da noi) per finita, dimostra di non essere spacciata affatto. Al contrario, riemerge prepotentemente e conquista il maggior numero di seggi al Senato. Regge il connubio con la Lega, frutto di un torbido intreccio di interessi che la sequenza impressionante di scandali e malversazioni amministrative proliferate all’ombra del Pirellone sembra avere addirittura cementato. Vedremo domani se lo spoglio delle schede per la Regione suggellerà con il voto dei lombardi questo patto scellerato.
Poi, per quanto alle persone dotate di normale intelligenza possa apparire paradossale, bisogna prendere atto che le rutilanti promesse del Caudillo, anche le sue più plateali rodomontate, fanno ancora breccia. Se un discreto numero di persone è riuscito a prendere sul serio la lettera con cui Berlusconi prometteva la restituzione dell’Imu e si è recato presso i patronati sindacali per riscuoterne l’importo, vuol dire che la crisi non ha soltanto prodotto disperazione, ma ha anche alterato ogni capacità di discernimento. E noi non abbiamo percepito a sufficienza quanto esteso fosse il bisogno di credere, nonostante tutte le prove contrarie, nell’onnipotenza del monarca che per vent’anni è stato sulla cresta dell’onda, risorgendo ogni volta dalle sue ceneri.
Berlusconi, in effetti, raccoglie tutto. Lo “spacchettamento”, l’accozzaglia pletorica di formazioni apparentate al Pdl (undici, per la precisione) che portano tutte rivoli e rigagnoli d’acqua, certo esili, ma pur sempre utili, a quel mulino. Nulla si butta nulla, e nulla Berlusconi ha buttato, come si fa col maiale. Dal Grande Sud all’Mpa, dal Cantiere popolare a Basta tasse, da Moderati in Rivoluzione al Partito dei Siciliani, da La Destra a Liberi per un’Italia equa.
L’astensione ha fissato poi un altro record: cinque punti percentuale in meno rispetto alle politiche del 2008. Ma, come si è visto, la fuga dal voto, almeno quella più significativa, non è dalla destra.
Grillo, poi, mette a segno un risultato sensazionale (circa il 24 per cento al Senato ) che cresce ancora alla Camera sino a procurare al M5S la palma di primo partito d’Italia. Una cosa come otto milioni e settecentomila voti! Persino di più di quanto lasciassero immaginare le adunate oceaniche di queste settimane.
Monti, invece, con quel nove per cento che sembra riassumere, voto più voto meno, tutta la sua performance, esce fortemente ridimensionato e, nel gioco dei numeri, deprivato di quel ruolo di ago della bilancia, che sperava di poter interpretare nella fase post-elettorale.
Il Pd casca molto male. Una sorta di vittoria di Pirro, quella di Bersani, che aveva (recidivante presunzione dei Democrat!) dato per scontata una vittoria a mani basse. Questo non avviene, malgrado il Pd incassi copiosamente i proventi elettorali della campagna sul “voto utile”. Regge la sfida, e sia pure per un’incollatura, si aggiudica, grazie ad un’infame legge elettorale, il 55 per cento dei seggi alla Camera con poco più del 29 per cento dei voti ottenuti dalla Coalizione! Poco ci è mancato che il Pd, furbo difensore del Porcellum, non divenisse vittima della propria macchinazione.
Quanto a Rivoluzione civile – e questo è per noi e per tutta la sinistra antiliberista il colpo più duro – si colloca fra l’1,8% del Senato e il 2,2% della Camera: una sconfitta da fare stramazzare. E un dejavu su cui nei prossimi giorni dovremo meditare. Perché qui, al di là di tutte le possibili recriminazioni sull’oscuramento e sull’ostracismo subiti, non solo non si sono guadagnati, se non marginalmente, voti nuovi, ma non si sono mantenuti neppure quelli che le forze coalizzate avrebbero dovuto portare in dote. Ora, l’ultima cosa che dobbiamo fare è rifugiarci in spiegazioni capziose. L’esito è così evidente, e preoccupante, da imporci una riflessione molto seria, se non vogliamo che questa poderosa battuta d’arresto si trasformi in un conclusivo de profundis.
Queste elezioni ci squadernano davanti la realtà di un paese dilaniato, dove la destra, quella considerata nella sua espressione più becera e fascistoide e quella di estrazione liberista, superano, insieme, il 40% dei consensi; mentre il populismo iperautoritario e senza progetto dell’egoarca genovese si porta a casa un quarto dei voti validi. L’altro quarto, o poco più, è appannaggio del Partito democratico che ha come massima ambizione quella di temperare (“con juicio“, ovviamente) le politiche montiane.
Per ora sembra non esserci spazio per altro. Ma a questo verdetto che pare suonare per la sinistra la campana a morto non ci si può (non ci si deve) rassegnare. Vedremo come e da dove ricominciare.
Resta il fatto che non si vede come da questo stato di cose possano sortire una maggioranza ed un governo. Perché i numeri non consentono coalizioni politicamente plausibili. La cosa più probabile è che al prossimo Capo della Stato (elezione, anche questa, assai problematica) toccherà rapidamente sciogliere le Camere appena insediate per ritornare al voto.
“La confusione sotto il cielo è grande”, ma la situazione non è per nulla favorevole.
Dino Greco
in data:25/02/2013